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atteggiamenti e mestieri umani, poi alla New York di Berenice Abbott, ai Fratelli Alinari, industriali di questa maniera di intendere e presentare la visione, al torinese Mario Gabinio che a metà Anni ’30 raccontò le trasformazioni e la vita della sua città (e fotografò la bottega di mio padre…).

E più vicino a noi The New Topographics degli Anni ’70, con Robert Adams e Lewis Baltz. Un immenso immaginario visivo, una maniera di vedere e di conoscere, che si raccorda con l’opera di un Gabriele Basilico, nata con le fabbriche di Milano e successivamente con Bord de mer, che si snoda sin quasi ai giorni nostri mettendo lucidamente e con partecipazione in luce le basi di questo stile in chiave contemporanea.

Da umile epigono di tanti maestri, sulle cui spalle salgo volentieri per cercare di indagare e dar a vedere il mondo, mi sembra che il punto centrale che identifica lo stile documentario non sia assolutamente l’invenzione ricercata da chi rincorre chimere di artisticità quanto la scoperta di chi guarda con occhi sinceri e  senza giudizi né pregiudizi con lo scopo di cercare l’ordine nel caos e la bellezza nel quotidiano senza ritenersi nè genio nè creatore.

Lo dice bene Robert Adams: “La bellezza che m’interessa è quella della forma, sinonimo della coerenza e della struttura sottese alla vita…Perché la forma è bella? Perché - penso - ci aiuta ad affrontare la nostra paura peggiore, il timore che la vita non sia che caos e che la nostra sofferenza non abbia alcun senso”. Piuttosto chiaro, vero?

Il momento iniziale del lavoro si può definire riconoscimento, una specie di insight o intuizione. Alla ricerca di questo momento e del profondo piacere che vi si associa percorro, con le condizioni adeguate (bel tempo, luce pulita e ben


angolata) e con la tenacia dell'agrimensore o del rabdomante i territori  urbani più propizi a trovare le situazioni che fanno scattare questo riconoscimento.

Esistono materialmente gli elementi che costituiscono il territorio ma - sino alla realizzazione della sua immagine (fotografica o pittorica che sia) - di vero paesaggio o veduta non si può parlare.

Mi pare che le operazioni necessarie siano: il riconoscimento della realtà e della sua attitudine a diventare immagine; una conseguente intenzionalità , il desiderio di realizzarla; la messa in atto delle necessarie procedure per farlo (composizione, inquadratura). Questo percorso comprende - oltre alla determinazione del punto di vista e dell'ampiezza della visione - la scelta della qualità e dell'orientamento della luce. Fattore fondamentale nel portfolio ora in mostra.

Fondamentale è il passaggio dal guardare al vedere, la messa in atto dell'immaginazione e della volontà. Il fotografo percepisce le potenzialità della scena, ne è attratto; immagina, costruisce mentalmente un'immagine che sarà la veduta, la sua presentazione. Mettendo in atto  la sua sensibilità e padroneggiando gli strumenti del mestiere potrà così rendere conto non della realtà fisica che si presenta al suo sguardo ma di quando egli vede. Questo è ciò che viene documentato.



VEDERE LA CITTA' al Caffé Ophrys

Via Nole 52, Torino  

dal  6 maggio  al 27 luglio 2024